Arwen Francesca Carbone

Insegnante di Yoga, naturopata, psicologa


Vi è stato mai chiesto di raccontare chi siete? Se la risposta è si, di certo sapete che non è così semplice identificarsi con qualcosa di preciso: probabilmente la risposta giusta è “dipende”, dal momento della giornata, da cosa sto facendo. Possiamo rivestire diversi ruoli.

Beh, io con certezza posso dirvi che sono una psicologa, neolaureata, che da anni si occupa di benessere fisico e mentale.

Ho iniziato all’età di 18 anni iscrivendomi ad una bellissima scuola di Naturopatia che ho frequentato nei weekend intanto che stavo per diplomarmi al liceo scientifico. Questi studi mi hanno davvero arricchita moltissimo e ho quindi proseguito occupandomi di musica (Canto moderno), scoprendo che essa ha un effetto terapeutico sul nostro organismo.

E’ in questo periodo che ho scoperto lo yoga e la meditazione, pratiche che mi hanno portata a studiare psicologia, per cercare di comprendere più a fondo i meccanismi che regolano la mente e il suo rapporto con il corpo. Le ultime scoperte in questo senso sono davvero stupefacenti.

Così ho deciso di trasformare la mia passione per lo sport e il movimento, iniziando a studiare e praticare yoga. Un’altro infinito universo si è aperto davanti a me e ha alimentato il mio desiderio di trasmettere tutto questo sapere anche agli altri. Sono diventata insegnante di yoga e ho deciso di proseguire gli studi con la magistrale in psicologia del benessere, un recentissimo indirizzo della facoltà di psicologia dell’università Cattolica di Milano. Ho studiato con i migliori professori e ho compreso che mente e corpo sono una cosa unica e che entrambe possono creare un benessere duraturo. E’ proprio questo quello che voglio trasmettere ai miei allievi, la comprensione di quante risorse abbiamo a disposizione, quanto meraviglioso è il nostro organismo, se solo ce ne prendiamo cura. Quello che creiamo è un vero e proprio percorso di autoguarigione.


email: psicarbonefrancesca@gmail.com

Instagram: https://instagram.com/francescacarbone2

La mia piattaforma, per i corsi: Body and Mind Academy

S.2 Episodio 12

21 aprile 2021

Una storia africana

La giraffa boriosa

Ai limiti di una grande foresta, in Africa, viveva tra gli altri animali una giraffa bellissima, agile e snella, più alta di qualunque altra. Sapendo di essere ammirata non solo dalle sue compagne ma da tutti gli animali era diventata superba e non aveva più rispetto per nessuno, né dava aiuto a chi glielo chiedeva. Anzi se ne andava in giro tutto il santo giorno per mostrare la sua bellezza agli uni e agli altri dicendo: – Guardatemi, io sono la più bella. –

Gli altri animali, stufi di udire le sue vanterie, la prendevano in giro, ma la giraffa vanitosa era troppo occupata a rimirarsi per dar loro retta. Un giorno la scimmia decise di darle una lezione. Si mise a blandirla con parole che accarezzavano le orecchie della giraffa: – Ma come sei bella! Ma come sei alta! La tua testa arriva dove nessuno altro animale può giungere… – E così dicendo, la condusse verso la palma della foresta.

Quando furono giunti là, la scimmia chiese alla giraffa di prendere i datteri che stavano in alto e che erano i più dolci. lì suo collo era lunghissimo, ma per quanto si sforzasse di allungarlo ancor di più, non riusciva a raggiungere il frutto. Allora la scimmia, con un balzo, saltò sul dorso della giraffa, poi sul collo e finalmente si issò sulla sua testa riuscendo ad afferrare il frutto desiderato. Una volta tornata a terra, la scimmia disse alla giraffa: – Vedi, cara mia, sei la più alta, la più bella, però non puoi vivere senza gli altri, non puoi fare a meno degli altri animali.

La giraffa imparò la lezione e da quel giorno cominciò a collaborare con gli altri animali e a rispettarli.

S.2 Episodio 11

7 aprile 2021

Una storia Sufi

L’asino

Un giorno l’asino di un contadino cadde in un pozzo. Non si era fatto male, ma non poteva più uscirne. 

L’asino continuò a ragliare sonoramente per ore, mentre il proprietario pensava al da farsi. Infine, il contadino prese una decisione crudele: concluse che l’asino era ormai molto vecchio e che non serviva più a nulla, che il pozzo era ormai secco e che in qualche modo bisognava chiuderlo. Non valeva pertanto la pena di sforzarsi per tirare fuori l’animale dal pozzo. Al contrario, chiamò i suoi vicini perché lo aiutassero a seppellire vivo l’asino.

Ognuno di loro prese un badile e cominciò a buttare palate di terra dentro al pozzo. L’asino non tardò a rendersi conto di quello che stavano facendo e pianse disperatamente. Poi, con gran sorpresa di tutti, dopo un certo numero di palate di terra, l’asino rimase zitto. Il contadino allora si decise a guardare verso il fondo del pozzo e rimase sorpreso da quello che vide.

Ad ogni palata di terra che gli cadeva addosso, l’asino se ne liberava, scrollandosela dalla groppa, facendola cadere e salendoci sopra. In questo modo, in poco tempo, l’asino riuscì ad arrivare fino all’imboccatura del pozzo, oltrepassare il bordo e uscirne trottando.

S.2 Episodio 10

24 marzo 2021

Una storia Zen

Una tazza di tè

Nan-in, un maestro giapponese dell’era Meiji (1868-1912), ricevette la visita di un professore universitario che era andato da lui per interrogarlo sullo Zen.
Nan-in servì il tè. Colmò la tazza del suo ospite, e poi continuò a versare.
Il professore guardò traboccare il tè, poi non riuscì più a contenersi. «E’ ricolma. Non ce n’entra più!».
«Come questa tazza,» disse Nan-in «tu sei ricolmo delle tue opinioni e congetture. Come posso spiegarti lo Zen, se prima non vuoti la tua tazza?»

Tratto da: “101 Storie Zen”

di Senzaki, Reps

Ed. Adelphi

S.2 Episodio 9

10 marzo 2021

Una storia Sufi

Ciò di cui hai bisogno

Un mistico Sufi, Bayazid, pregava Dio ogni giorno, esprimendo riconoscenza e gratitudine. A volte non aveva nulla di cui essere grato.
Una volta, lui e i suoi discepoli, rimasero senza niente da mangiare per tre giorni. In ogni città davano loro la caccia, i musulmani ce l’avevano con loro. Ma anche quella sera, Bayazid ringraziò Dio. Un discepolo disse: “Questo è troppo. Non lo tolleriamo più. Per cosa ringrazi Dio?”. Bayazid aveva appena detto: “Sei così buono, mio Signore. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno ce lo dai sempre”. Il discepolo disse: “Ora stai esagerando. Abbiamo fame da tre giorni e siamo stati scacciati da ogni villaggio e la gente ci cerca per ucciderci. E tu dici: ‘Tutto ciò di cui abbiamo bisogno ce lo dai sempre’? Cosa ci ha dato in tre giorni?”.
Bayazid rise e rispose: “Ci ha dato tre giorni di povertà, fame e gente che vuole la nostra pelle. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno, ce lo dà. Di questo c’è bisogno. Deve essere così, perché Lui la sa più lunga di noi”.

[tratto da: Osho, Beloved of My Heart #13]

S.2 Episodio 8

24 febbraio 2021

Il sogno della farfalla

“Una volta Chuang-Tzu sognò di essere una farfalla, una farfalla svolazzante che batteva le ali in giro, felice con se stessa e facendo quello che le piaceva.
Lei non sapeva di essere Chuang-Tzu.
Di colpo si svegliò e lì era, solidamente e senza dubbio, Chuang-Tzu.
Ma egli non sapeva se fosse Chuang-Tzu che aveva sognato di essere una farfalla, o una farfalla che sognava di essere Chuang-Tzu…”

Tratto da uno dei testi fondamentali del Taoismo, noto con il titolo di: “Chuang-Tzu”.

S.2 Episodio 7

10 febbraio 2021

C’è una bella storia, famosa nel mondo della formazione, che nasconde un messaggio importante, quando abbiamo a che fare con i nostri limiti, o almeno quelli che crediamo essere tali…

SIAMO ELEFANTI IN CATENE?

Quando ero piccolo adoravo il circo, ero attirato in particolar modo dall’elefante che, come scoprii più tardi, era l’animale preferito di tanti altri bambini.

Durante lo spettacolo faceva sfoggio di un peso, una dimensione e una forza davvero fuori dal comune… ma dopo il suo numero, e fino ad un momento prima di entrare in scena, l’elefante era sempre legato ad un paletto conficcato nel suolo, con una catena che gli imprigionava una delle zampe. Eppure il paletto era un minuscolo pezzo di legno piantato nel terreno soltanto per pochi centimetri. E anche se la catena era grossa mi pareva ovvio che un animale del genere potesse liberarsi facilmente di quel paletto e fuggire.

Che cosa lo teneva legato? Chiesi in giro a tutte le persone che incontravo di risolvere il mistero dell’elefante; qualcuno mi disse che l’elefante non scappava perché era ammaestrato… allora posi la domanda ovvia: “Se è ammaestrato, perché lo incatenano?” Non ricordo di aver ricevuto nessuna risposta coerente. Con il passare del tempo dimenticai il mistero dell’elefante e del paletto. Per mia fortuna qualche anno fa ho scoperto che qualcuno era stato tanto saggio da trovare la risposta:  l’elefante del circo non scappa perché è stato legato a un paletto simile fin da quando era molto, molto piccolo.

Chiusi gli occhi e immaginai l’elefantino indifeso appena nato, legato ad un paletto che provava a spingere, tirare e sudava nel tentativo di liberarsi, ma nonostante gli sforzi non ci riusciva perché quel paletto era troppo saldo per lui, così dopo vari tentativi un giorno si rassegnò alla propria impotenza. L’elefante enorme e possente che vediamo al circo non scappa perché crede di non poterlo fare: sulla sua pelle è impresso il ricordo dell’impotenza sperimentata e non è mai più ritornato a provare… non ha mai più messo alla prova di nuovo la sua forza… mai più!

A volte viviamo anche noi come l’elefante pensando che non possiamo fare un sacco di cose semplicemente perché una volta, un po’ di tempo fa ci avevamo provato ed avevamo fallito, ed allora sulla pelle abbiamo inciso “non posso, non posso e non potrò mai”.

[La storia è tratta da: Déjame que te cuente di Jorge Bucay – Ed. RBA]


Quante volte ci comportiamo come l’elefantino, ormai cresciuto? Quante volte ci lasciamo frenare da quelli che crediamo essere i nostri limiti, solo perché non abbiamo mai più provato a spingerci oltre?

S.2 Episodio 6

27 gennaio 2021

Una storia Zen

Nelle mani del destino

Un grande guerriero giapponese che si chiamava Nobunaga decise di attaccare il nemico sebbene il suo esercito fosse numericamente soltanto un decimo di quello avversario.

Lui sapeva che avrebbe vinto, ma i suoi soldati erano dubbiosi.

Durante la marcia si fermò in un tempio shintoista e disse ai suoi uomini: “Dopo aver visitato il tempio butterò una moneta. Se viene testa vinceremo, se viene croce perderemo. Siamo nelle mani del destino.”

Nobunaga entrò nel tempio e pregò in silenzio. 

Uscì e getto una moneta. Venne testa.

I suoi soldati erano così impazienti di battersi che vinsero senza difficoltà.

“Nessuno può cambiare il destino” disse a Nobunaga il suo aiutante dopo la battaglia.

“No davvero” disse Nobunaga, mostrandogli una moneta che aveva testa su tutt’e due le facce.


(tratta da “101 storie zen” di Nyogen Senzaki e Paul Reps, edizione Adelphi)

S.2 Episodio 5

13 gennaio 2021

La vecchia leggenda indù di questa sera…

Una vecchia leggenda indù

Una vecchia leggenda indù dice che un tempo tutti gli uomini erano degli Dei, ma abusavano talmente tanto della loro divinità che Brahma, Capo degli Dei, decise di togliere loro la Potenza Divina e nasconderla dove non l’avrebbero mai trovata. 

Dove nasconderla divenne quindi il grande problema.

Quando gli Dei minori furono chiamati a consiglio per valutare questo problema, dissero: “Seppelliremo la divinità dell’uomo in fondo alla terra”. Ma Brahma disse: “No, non basta, perché l’uomo scaverà e la troverà”. Allora gli Dei dissero: “Bene, allora affonderemo la sua divinità nell’oceano più profondo”. Ma Brahma rispose ancora: “No, perché prima o poi l’uomo esplorerà le profondità di ogni oceano e la riporterà in superficie”. Allora gli Dei minori conclusero: “Non sappiamo dove nasconderla, perché sembra che non ci sia alcun posto sulla terra o nel mare dove l’uomo non potrebbe eventualmente raggiungerla”. 

Allora Brahma disse: “Ecco cosa faremo con la divinità dell’uomo. La nasconderemo profondamente in lui stesso, perché non penserà mai di cercarla proprio lì”.

E da allora, conclude la leggenda, l’uomo è andato su e giù per la terra, arrampicandosi, tuffandosi, esplorando e scavando per cercare qualcosa che invece aveva sempre racchiusa in sé.

S.2 Episodio 4

Ecco il bellissimo brano che Arwen ci ha proposto…

La leggenda dei due lupi

– un racconto Cherokee –

“Nonno, perché gli uomini combattono?”

Il vecchio, parlò con voce calma.

“Ogni uomo, prima o poi è chiamato a farlo.

Per ogni uomo c’è sempre una battaglia che aspetta di essere combattuta, da vincere o da perdere. 

Perché lo scontro più feroce è quello che avviene fra i due lupi.” 

“Quali lupi nonno?”

“Quelli che ogni uomo porta dentro di sé.”

Il bambino non riusciva a capire. 

Attese che il nonno rompesse l’attimo di silenzio che aveva lasciato cadere tra loro, forse per accendere la sua curiosità.

Infine il vecchio, che aveva dentro di sé la saggezza del tempo, riprese con il suo tono calmo. 

“Ci sono due lupi in ognuno di noi.

Uno è cattivo e vive di odio, gelosia, invidia, risentimento, falso orgoglio, menzogna ed egoismo.”

Il vecchio fece di nuovo una pausa, questa volta per dargli modo di capire quello che aveva appena detto.

“E l’altro?”

“L’altro è il lupo buono.

Vive di pace, amore, speranza, generosità, compassione, umiltà e fiducia.” 

Il bambino rimase a pensare un istante a quello che il nonno gli aveva appena raccontato. 

Poi diede voce alla sua curiosità ed al suo pensiero.

“E quale lupo vince, nonno?”

Il vecchio Cherokee si girò a guardarlo e rispose con occhi puliti:

”Quello che nutri di più.”